Andremo oltre il limite di +1,5 gradi

Oggi ci sono 2 probabilità su 3 che la temperatura del nostro pianeta salga di oltre 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali entro il 2027. E che ciò accada per almeno un anno. Questa, in sintesi, la nefasta stima appena diffusa dalla WMO, l’Organizzazione Metereologica Mondiale.

 

Da probabilità irrisorie a ben 2 su 3 in meno di dieci anni

Intanto va chiarito che il limite di 1,5 gradi di riscaldamento globale è un limite prima di tutto definito per ragioni politiche, sulla pressione alla Cop21 dei Paesi più colpiti dalla crisi climatica, ma anche suffragato dai fatti: cinque anni fa l’Onu diffuse uno studio che metteva a paragone gli effetti di un innalzamento di 1,5 gradi con quelli causati da un incremento della temperatura di 2 gradi, con differenze marcate sulle probabilità che gli incrementi di temperatura scatenino siccità prolungate e inaridimento, innalzamento dei livelli del mare, inondazioni e svariate altre conseguenze a cascata.

Fissato come l’obiettivo più ottimista inserito negli Accordi di Parigi sul Clima del 2015, secondo gli esperti il limite di +1,5% non sarebbe più verosimilmente perseguibile, al netto delle insufficienti politiche e azioni intraprese finora globalmente finora. E lo studio della WMO, che dall’inizio di questo decennio monitora annualmente le probabilità di superamento del limite nei 5 anni successivi, parrebbe confermarlo.

Basti pensare che il superamento di questo limite nel 2015 era una possibilità quasi nulla, nel periodo 2016-2021 era salita al 10% e nel 2022 addirittura al 50%. Che oggi le possibilità siano salite a 2 su 3 significa una quasi-certezza: uno tra i prossimi cinque anni sarà il più caldo mai registrato, più di quel 2016 da record, segnato dall’influenza del colossale fenomeno climatico ribattezzato El Niño, presenza periodica nella zona del Pacifico Meridionale e in predicato di influenzare nuovamente le temperature nei prossimi mesi.

Come dobbiamo interpretare questi dati? Gli esperti della WMO dettagliano la situazione sottolineando come i numeri attuali non significhino affatto che saliremo stabilmente sopra il limite di +1,5 gradi, ma soltanto che in futuro questo limite verrà superato sempre più spesso. E che, per quanto ci è dato ipotizzare ora, ciò accadrà soltanto temporaneamente.

Una precisazione non da poco se vista in prospettiva. Per considerare mancato l’obiettivo più ottimistico degli Accordi di Parigi, la temperatura globale dovrebbe salire di oltre 1,5 gradi continuativamente per 20 anni. Inutile dunque quantificare le dosi di pessimismo che questi dati dovrebbero scatenare in noi. Meglio concentrarsi sul fatto che esistono ancora, nonostante tutto, dei margini di manovra per cambiare rotta e limitare i danni.

 

La risposta Europea: il Net Zero Industry Act

Abbiamo accennato al ruolo della politica nella definizione degli obiettivi climatici. Ebbene, la politica europea è da tempo impegnata alla definizione di un modello diverso. Per perseguirlo “abbiamo bisogno di un contesto normativo che ci permetta di accelerare la transizione verso l’energia pulita. La legge sull’industria a zero emissioni farà proprio questo. Creerà le migliori condizioni per quei settori che sono fondamentali per raggiungere lo zero netto entro il 2050: tecnologie come le turbine eoliche, le pompe di calore, i pannelli solari, l’idrogeno rinnovabile e lo stoccaggio della CO2.” Così ha spiegato la presidente dell’Esecutivo Ue, Ursula Von der Leyen, il Net Zero Industry Act, ossia la proposta di regolamento europeo presentata dalla Commissione per un’industria a zero emissioni, in un’Europa che sia anche in grado di prodursi in casa tecnologie green per affrontare la transizione energetica. “La domanda sta crescendo in Europa e nel mondo, e stiamo agendo ora per assicurarci di poter soddisfare una parte maggiore di questa domanda con l’offerta europea”.

Il principale obiettivo proposto per le cosiddette Net Zero Technologies prevede infatti che almeno il 40% delle necessità dell’UE in materia di tecnologie green debbano essere soddisfatte in casa entro il 2030. La Commissione intende raggiungere questo ambizioso obiettivo attraverso sei pillar. Il primo è la semplificazione dell’attuale quadro normativo riguardante gli investimenti nelle tecnologie net-zero, da conseguire attraverso il miglioramento delle informazioni, la riduzione degli oneri amministrativi per la creazione di progetti e la semplificazione dei processi di rilascio delle autorizzazioni.

Punto secondo: la concessione agli Stati membri di istituire sandbox normativi per testare tecnologie innovative a zero emissioni e stimolare l’innovazione, a condizioni normative flessibili. Se il terzo mira a produrre un’accelerazione della cattura di CO2, il quarto prevede di facilitare l’accesso ai mercati per le realtà e i progetti più virtuosi. Il quinto agisce sul terreno chiave della formazione di una forza lavoro qualificata a sostegno della produzione di tecnologie a zero emissioni in Europa, e per questo prevede l’istituzione di accademie industriali a zero emissioni, anche con il sostegno e la supervisione della piattaforma Net-Zero Europe. Piattaforma che rappresenta appunto il sesto pilastro della strategia: un’entità chiave per il piano, pensata per aiutare la Commissione e gli Stati membri a coordinare le azioni e a scambiare informazioni, anche per quanto riguarda i partenariati industriali a zero emissioni.

 

Il piano abbraccia tutte le tecnologie green

Per sostenere ulteriormente la decarbonizzazione dell’industria europea e la diffusione dell’idrogeno rinnovabile, la Commissione ha presentato anche le sue idee sulla struttura e le funzioni della Banca europea dell’idrogeno. Come anticipato sempre nel Green Deal Industrial Plan, le prime aste pilota sulla produzione di idrogeno rinnovabile saranno lanciate nell’ambito del Fondo per l’innovazione nell’autunno del 2023.

Il piano abbraccia dunque tutto l’ampio ventaglio di tecnologie in grado di portare un contributo significativo alla decarbonizzazione, dal solare fotovoltaico e il solare termico all’eolico onshore e l’energia rinnovabile offshore, fino alle le batterie e lo stoccaggio, le pompe di calore e l’energia geotermica, gli elettrolizzatori e le celle a combustibile, il biogas/biometano. E ancora: la cattura, l’utilizzo e lo stoccaggio del carbonio e le tecnologie di rete, le tecnologie per i combustibili alternativi sostenibili, le tecnologie avanzate per la produzione di energia da processi nucleari con scorie minime dal ciclo del combustibile.

Speranzosi, restiamo alla finestra a osservare gli ingranaggi della macchina politico-burocratica. La legislazione proposta dovrà infatti essere discussa e approvata dal Parlamento europeo e dal Consiglio. Ma un fatto deve essere chiaro a tutti. Se anche l’Unione Europea raggiungesse tutti i suoi ambiziosissimi obiettivi climatici, a livello globale si tratterebbe soltanto della punta dell’iceberg.

La sfida epocale è infatti creare un livello di consenso tra tutti i principali attori politici e produttivi del mondo che sia, letteralmente, senza precedenti. Un consenso fattivo e transnazionale che mai si è verificato nella Storia. Soltanto così possiamo sperare di arginare i danni arginabili e aspirare realisticamente a costruire una società mondiale adatta a fronteggiare le terribili sfide poste dal cambiamento climatico.