La sfida del merito

Si sono fatte molte polemiche in questi giorni d’autunno ancora estremamente caldi, e con esse si è fatta anche molta retorica soprattutto attorno a una serie di messaggi chiave che il nuovo esecutivo ci sta trasmettendo. Uno tra questi è stato ed è certamente quello contenuto nel nuovo nome dato al ministero dell’istruzione, che adesso annovera anche il concetto di meritocrazia dacché si chiama ministero dell’Istruzione e del Merito.

 

Perché si chiama ministero dell’Istruzione e del Merito?

Di recente il suo neoministro Giuseppe Valditara, professore di diritto romano a Torino, preside all’Università Europea dei legionari di Cristo a Roma, già capo dipartimento del ministero dell’Istruzione con Bussetti, ha sottolineato che la ragione di questa scelta risiede nel dato di fatto che sino a oggi ci ha consegnato una scuola classista e non una scuola dell’eguaglianza che aiuti i ragazzi a realizzarsi costruendosi una soddisfacente vita adulta: “oggi il tasso di dispersione è al 12,7 per cento – ha affermato – e se aggiungiamo quella implicita (cioè di chi ha il diploma ma non le competenze minime), sale ad un preoccupante 20 per cento. Tutto questo dentro un divario di apprendimento tra i territori. Come ha scritto sul Corriere Ernesto Galli Della Loggia, ‘non è una scuola dell’eguaglianza perché non è una scuola del merito’. Parte da questa consapevolezza la sfida del merito, che dà sostanza alla parola Istruzione”.

Pensando alla parola merito mi torna in mente il noto aforisma di Indira Gandhi di quando suo nonno le spiegò che ci sono due tipi di persone: quelli che fanno il lavoro e quelli che si prendono il merito: “mi disse di cercare di essere nel primo gruppo poiché in quello ci sarà sempre molta meno competizione.” Di certo una battuta piuttosto amara, anche se esemplare, che tuttavia porta a chiederci che cosa sia il merito oggi e che cosa sia la meritocrazia.

 

Meritocrazia cosa significa?

“Meritocrazia – recita Treccani – è un termine coniato negli Stati Uniti (deriva dall’inglese meritocracy, composto del latino meritum «merito» e -cracy «-crazia») che è stato introdotto in Italia negli anni Settanta con riferimento a sistemi di valutazione scolastica basati sul merito (ma ritenuti tali da discriminare chi non provenga da un ambiente familiare adeguato) e alla tendenza a premiare, nel mondo del lavoro, chi si distingua per impegno e capacità nei confronti di altri, ai quali sarebbe negato in qualche modo il diritto al lavoro e a un reddito dignitoso. Altri hanno invece usato il termine con connotazione positiva, intendendo la concezione meritocratica come una valida alternativa sia alle possibili degenerazioni dell’egualitarismo sia alla diffusione di sistemi clientelari nell’assegnazione dei posti di responsabilità”.

 

Come nasce la parola meritocrazia?

L’origine di questo neologismo è molto ben raffigurata nell’incipit di un articolo firmato dal filosofo Kwame Anthony Appiah pubblicato nel 2018 su The New York Review of Books, e recentemente rieditato proprio per l’occasione con il titolo “Contro la meritocrazia”: Michael Young – vi si legge – era un figlio scomodo. Il padre era un musicista e critico musicale australiano; la madre, cresciuta in Irlanda, era una pittrice bohémienne. Erano spiantati, distratti e litigavano spesso. Michael, nato nel 1915, scoprì presto che nessuno dei due aveva molto tempo da dedicargli. Un giorno, vedendo che i genitori sembravano aver dimenticato il suo compleanno, pensò che lo aspettasse una sorpresa. Invece i genitori avevano davvero dimenticato il suo compleanno, il che non era affatto sorprendente. Una volta li sentì per caso parlare della possibilità di darlo in adozione. Come avrebbe raccontato in seguito, non superò mai del tutto la paura dell’abbandono.

Tutto cambiò quando, a quattordici anni, Young fu mandato in un collegio sperimentale a Dartington Hall, nel sud dell’Inghilterra. L’istituto, fondato dai filantropi progressisti Leonard e Dorothy Elmhirst, puntava a cambiare la società trasformando le persone. Per Young fu come essere adottato, perché gli Elmhirst lo trattarono come un figlio, incoraggiandolo e sostenendolo finché vissero. Young si ritrovò di colpo a far parte di un’élite internazionale che cenava con il presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt e assisteva a conversazioni tra Leonard ed Henry Ford.

Considerato uno dei più importanti sociologi del Novecento, Young ha aperto la strada all’esplorazione scientifica moderna delle relazioni sociali della classe operaia britannica. Ma il suo scopo non era solo studiare le classi sociali: voleva ridurre i danni che potevano causare. L’ideale promosso a Dartington Hall (coltivare le personalità e le abilità, qualunque fossero) era ostacolato dalla struttura di classe britannica. Cosa doveva prendere il posto della vecchia gerarchia sociale, così simile al sistema delle caste? Per molti, oggi, la risposta è la meritocrazia, un termine coniato sessant’anni fa proprio da Young per indicare un mondo in cui “il potere e il privilegio sono assegnati in base al merito individuale e non alle origini sociali”.