Un dividendo globale per la pace

“Non so come sarà combattuta la terza guerra mondiale ma so che la quarta sarà combattuta con pietre e bastoni”. Cito questa spaventosa quanto lungimirante affermazione di Albert Einstein nelle ore e nei giorni in cui stiamo assistendo a una vera e propria corsa alle armi che in Italia era stata anticipata dal Presidente del consiglio Mario Draghi più volte, e confermata nell’informativa al Senato del primo marzo scorso quando ha annoverato tra le cause dell’ulteriore spinta a investire nella nostra difesa più di quanto non si sia mai fatto finora, la minaccia portata oggi dalla Russia.

Cosicché giovedì scorso, a larga maggioranza, la Camera ha approvato un ordine del giorno al decreto Ucraina che ci impegna a incrementare le spese militari fino al 2% del Pil: un aumento di oltre 10 miliardi l’anno. La qual cosa mette un sigillo esecutivo alla scelta fatta e dunque la decisione è presa, passeremo, stando ai dati dell’Osservatorio Milex, dai 26 ai 38 miliardi all’anno. Cioè a dire che noi italiani spenderemo in armi e armamenti 104 milioni al giorno.

C’è da dire a onore del vero che la corsa alle spese militari si registra già da decenni: dal 2000 a oggi a livello globale è pressoché raddoppiata arrivando a sfiorare i duemila miliardi di dollari americani ogni anno. Un trend che non ha risparmiato area geografica alcuna né alcun governo che anzi, per il meccanismo della controreazione, sentendosi sotto pressione per l’investimento in armi degli altri cede al timore e alimenta il trend in maniera viziosa. Il che equivale a un colossale dispendio di risorse che potrebbero essere utilizzate in scopi migliori.

A dirlo non sono solo io, anzi, credo e spero che lo pensiate anche voi. Tuttavia, lo sostengono anche molte decine di scienziati e personalità illustri, tra cui premi Nobel come gli italiani Giorgio Parisi e Carlo Rubbia, o il Dalai Lama Nobel per la Pace, con un appello sottoscritto e pubblicato pochissimi mesi orsono e rivolto ai leader politici.

“Noi vogliamo presentare una semplice proposta per l’umanità – si può leggere nel documento che è andato del tutto ignorato – che i governi di tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite si impegnino ad avviare trattative per una riduzione concordata della spesa militare del 2 per cento ogni anno, per cinque anni. In questo modo, pur mantenendo la sicurezza collettiva fondata sull’equilibrio delle forze, si creerà entro il 2030 un dividendo della pace pari a mille miliardi di dollari americani”.

Gli scienziati firmatari di questo documento propongono che la metà delle risorse sbloccate attraverso questo accordo venga convogliata in un fondo globale, sotto la vigilanza delle Nazioni Unite, per far fronte alle necessità più urgenti e drammatiche dell’umanità come le pandemie, i cambiamenti climatici e la povertà estrema. E l’altra metà venga messa a disposizione dei singoli governi affinché tutti i Paesi possano attingere a nuove e cospicue risorse, che in parte si potranno utilizzare per reindirizzare le notevoli capacità di ricerca dell’industria militare verso scopi pacifici nei settori di massima urgenza.

Invece oggi, incendiati dalla narrativa imperante inneggiamo alla Pace seduti a cavalcioni di un missile nuovo di zecca. Certo abbiamo ben impresse negli occhi l’alone bruciante delle vittime civili nelle città ucraine. Vittime che meritano la nostra attenzione, la nostra solidarietà e il nostro rispetto. Ma se come ci insegna la storia, sono sempre i civili le maggiori vittime delle guerre, le armi che abbiamo deliberato di comprare in maggiore quantità, chi avranno come obiettivo?

In un tempo in cui l’umanità deve affrontare sfide drammatiche come la necessità di debellare la presente e le future pandemie, di arrestare il riscaldamento globale e di confrontarsi con le devastazioni provocate dai cambiamenti climatici, dalla siccità estrema, dall’inquinamento crescente, nel quale è oramai del tutto evidente che nessun paese si salva da solo, non possiamo permettere che le scelte più dannose non siano modificate.