Qatar 2022, un Mondiale nell’inverno dei diritti umani

“Non vogliamo contribuire ai profitti del Qatar e pertanto abbiamo ridotto il più possibile le nostre attività di viaggio”. I calciatori della Nazionale della Danimarca andranno in Qatar per il Mondiale 2022 di calcio senza le famiglie al seguito, allineandosi al coro di proteste esploso sulla questione del mancato rispetto dei diritti umani nel Paese che ospiterà il torneo.

 

Niente famiglie danesi in Qatar, no ai maxischermi nelle piazze francesi

Già nei giorni scorsi lo sponsor tecnico della nazionale danese, presentando le tre maglie che verranno indossate ai Mondiali, ha evidenziato la presenza su due di esse di una serie di messaggi a favore del rispetto dei diritti umani e sulla terza il colore nero, scelto in segno di lutto per le vittime sul lavoro in Qatar.

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I danesi non sono gli unici a levare la propria voce in difesa di diritti umani e ambiente. Recentemente lo hanno fatto anche diverse città francesi: Lille, Strasburgo e persino Parigi non allestiranno le tradizionali fan zones con gli schermi giganti nelle strade e negli spazi pubblici. La squadra Campione del mondo in carica, pur se favorita, dunque dovrà rassegnarsi a rinunciare al tifo e al sostegno di piazza in patria, almeno a quello organizzato dalle amministrazioni. Inaccettabili, nelle parole dell’assessore allo Sport della capitale francese, Pierre Rabadan, sarebbero “le condizioni in cui è stata organizzata questa Coppa del mondo, sia sotto l’aspetto ambientale che sociale”, così come “la tempistica, cioè il fatto che si svolga nel mese di dicembre”.

 

Il sistema Kafala: una concezione medievale del lavoro

Non si tratta di proteste dell’ultimo minuto: il susseguirsi di critiche di dubbi e di opposizioni ha preso il via sin dall’anno dell’assegnazione del Mondiale al Qatar, vuoi perché si tratta del primo nella storia del campionato a svolgersi d’inverno o perché quella parte di mondo non ha una vera e propria storia calcistica. Ma quel che ha tenuto desta l’attenzione di media e istituzioni è il tema dei diritti in un paese che, dovendosi dotare delle infrastrutture necessarie a accogliere cotanto tifo, ha un sistema del lavoro che necessita di riforme sostanziali, inclusa la fine del sistema Kafala.

Si tratta di un sistema di sponsorizzazione del lavoro straniero diffuso nei Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo, dunque Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti nonché Giordania e Libano, che permette ai datori di lavoro un controllo pressoché totale sulle vite delle persone migranti. In pratica lo Stato concede ai privati permessi di “sponsorizzazione” per assumere manodopera immigrata, proveniente soprattutto dall’Africa e dall’Asia meridionale e occupata nelle attività ritenute poco appetibili dai nativi arabi.

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Oltre seimila lavoratori sono morti in Qatar

Si stima che per costruire i sette stadi, una città, gli aeroporti e le infrastrutture adeguate all’evento sportivo, il Qatar abbia reclutato due milioni di persone da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh, Sri Lanka e Filippine. Da un’inchiesta del quotidiano britannico the Guardian si apprende che dal 2010 in poi, cioè dall’anno in cui il Qatar ha ottenuto l’assegnazione del mondiale, nei cantieri collegati alla competizione calcistica sarebbero morti più di 6.500 lavoratori prevalentemente stranieri. Amnesty International, ha inoltre evidenziato l’opportunità che la Fifa metta a disposizione almeno 440 milioni di dollari (circa 450 milioni di euro) per risarcire le centinaia di migliaia di lavoratori migranti vittime dello sfruttamento. Anche un dettagliato rapporto dell’ONU del 2020 ha dimostrato che le condizioni di migliaia di operai immigrati sono al di sotto degli standard minimi di dignità.

 

Un evento tutt’altro che carbon neutral

Al grave tema sociale si affianca quello non di minore importanza relativo all’impatto ambientale. Preoccupa che per gestire la logistica dei tifosi in arrivo, Qatar Airways, la compagnia aerea statale, abbia predisposto un servizio navetta dentro e fuori Doha nei giorni delle partite dalle città del Golfo, inclusi almeno 60 voli giornalieri da e per Dubai. Oltre a essere una soluzione altamente inquinante è un ulteriore dettaglio che contribuisce a smentire le promesse di realizzare un evento “carbon neutral” fatte dagli organizzatori.

Il tema è ovviamente sensibile soprattutto in questa fase storica, in cui ci troviamo a dover fare i conti con i danni sociali ed economici di una stagione particolarmente funestata dalla crisi climatica. Abbiamo ancora dietro le palpebre le immagini dei danni in siccità, alluvioni e vasti incendi di un’estate che è stata la più calda di sempre in Europa. Un tema che non può essere ignorato, soprattutto oggi che ci accingiamo ad aprire la ventisettesima Conferenza mondiale sul clima della Nazioni Unite, la Cop 27, che si terrà a Sharm el-Sheikh, in Egitto, dal 6 al 18 novembre, nella quale sia i governi che sia il summit stesso si giocheranno gran parte della propria credibilità.

 

Lotta al climate change: individui VS governi

Un banco di prova cruciale perché finora l’adozione di comportamenti virtuosi è rimasta una libera iniziativa personale degli individui, non il risultato delle decisioni e delle azioni dei grandi del mondo. L’ultima ricerca Climate Reality Barometer (Barometro sulla Realtà Climatica) di Epson – condotta in 28 Paesi – registra che in tutto il mondo le persone stiano intensificando gli sforzi personali per contrastare il cambiamento climatico, considerandolo un fenomeno di cui preoccuparsi e occuparsi. Un cambio di atteggiamento a cui i consessi internazionali devono dare forza e slancio, con iniziative concrete e decisioni coraggiose.

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Nonostante la situazione dell’economia mondiale stia distogliendo l’attenzione della politica e dell’economia dalle sfide ambientali, le persone nel mondo scelgono comunque di perseverare nell’azione individuale. Il livello micro e quello macro sono però al momento del tutto disallineati. Come racconta bene la decisione dei calciatori danesi. Il gap è disarmante: se un singolo calciatore è disposto a non portare la propria famiglia all’evento più importante della sua vita professionale per ragioni etiche, per quale motivo la Fifa non dovrebbe tenere conto degli impatti ambientali e sociali al momento di selezionare il Paese ospitante di un evento colossale e iconico come i Mondiali?