Perché banalizzare la vecchiaia?

“Saper invecchiare è il capolavoro della sapienza, e uno dei più difficili capitoli della grande arte di vivere” diceva il filosofo svizzero Henri Amiel sintetizzando in maniera assolutamente perfetta e in pochissime parole le infinite dinamiche sottese ad ogni singola esperienza di vita. Ogni attimo di ciascun essere vivente, umano, animale o vegetale che sia, è un coacervo di potenzialità e, conseguentemente, di difficoltà da affrontare affinché le potenzialità si traducano in manifestazioni del reale. Ogni nostro singolo giorno è una trama tessuta con le infinite storie che viviamo e con quelle degli altri che incrociamo nel nostro cammino. Ogni nostra singola esistenza è un arsenale di conquiste, di battaglie vinte e perse, di sogni delusi o realizzati, di speranze tradite di traguardi tagliati, di ricordi e aspettative, di successi e insuccessi, di amori, passioni, illusioni, viaggi reali o immaginari. È un romanzo di milioni di pagine piene zeppe di avventure. È uno stagno a primavera. Ogni vita è una benedizione dell’universo. Ogni vita che arrivi alla stagione della vecchiaia è un’infinita serie di benedizioni dell’universo. È un concetto così immenso e bellissimo che fatico a contenerlo nei limiti del linguaggio che d’improvviso sento insufficiente. È un concetto così magnifico che fatico a giustificare coloro che lo banalizzano in nome del narcisismo o peggio della noia o peggio ancora della moda. Sì, avete capito, mi riferisco al tormentone social che ci sta soverchiando e che sembra avere affascinato trasversalmente tutte le categorie umane e sociali, senza distinzione di ceto, nazionalità, cultura, età. Ora, non vorrei sembrare bacchettone o saccente, ma mi è difficile credere che nel 2019 ci siano ancora persone all’oscuro del fatto che se in rete trovi un prodotto gratuito il prodotto sei tu. Che ci sia ancora qualcuno che non sappia che queste applicazioni raccolgono e capitalizzano il nostro vero capitale umano che noi stiamo cedendo gratuitamente. Abbiamo iniziato cedendo i dati anagrafici iscrivendoci ai social, abbiamo proseguito lasciandoci profilare in ogni sfumatura delle nostre identità a colpi di like, stiamo completando il quadro consegnandogli anche la nostra biometria. Per cosa? Per una risata che dura lo spazio di un secondo, perché vederti vecchio quando vecchio non sei altro non può generare se non un’alzata di spalle e una risata banalizzante di un processo che dura una vita e costa fatica. Immaginarmi da vecchio è per me un esercizio per il quale mi alleno ogni attimo del mio giorno. So come vorrei essere e chi vorrei essere, per me stesso, per la mia famiglia e per l’insieme. Per diventare quello che vorrò essere mi educo costantemente. Quindi no, il vecchio che potrei vedere su FaceApp non assomiglia affatto al vecchio che vorrò vedere quando vecchio sarò.