“Alexa, ti voglio bene”

Abbiamo certamente letto tutti nei giorni scorsi online o sui giornali, di quanto ci si sia talmente abituati a trattare gli assistenti virtuali come membri effettivi delle nostre famiglie che, nell’ultimo anno e solo gli utenti italiani, le hanno detto “Alexa ti voglio bene” più di sette milioni di volte!

Perché?

Secondo la vulgata per la sua capacità di semplificare notevolmente la vita di chi la usa fornendo un reale supporto attivo alla routine quotidiana, per esempio accendendo la macchina del caffè la mattina, oppure le luci quando viene buio, oppure anticipando le previsioni del tempo, che sono sempre utili per capire se dobbiamo prendere l’ombrello, o se c’è neve quando vogliamo andare a sciare oppure se non conviene prenotare un weekend al mare perché pioverà. Ma le persone interagiscono con Alexa anche per porre delle domande. E in effetti è dotata della capacità di articolare risposte. Trattandosi di un sistema di intelligenza artificiale, sviluppato con programmi di machine learning, Alexa diventa col passare del tempo sempre più brava, soprattutto se incrementiamo il suo potenziale scaricando tutte le nuove abilità, le cosiddette skills, che vengono prodotte e rese disponibili per integrare il suo sistema.

Per esempio, quella che impazza in questi giorni è una skill che permette di parlare con Babbo Natale. Basta chiedere ad Alexa di chiamarlo per sentire la sua voce direttamente a casa nostra. E lo si può anche tenere d’occhio, poiché Alexa è sempre pronta a rivelare ogni suo spostamento dicendoci se si trovi in fila alle Poste per ritirare le letterine, in giro a cercar dolci, o a trovare la Befana.

“Di domande del genere se ne possono fare diverse, basta avere un po’ di fantasia e di curiosità. I bambini hanno entrambe le cose, Alexa e Babbo Natale hanno tutte le risposte” hanno scritto su un quotidiano online. Ma quali sono le domande preferite dagli utenti? Prevalentemente si interrogano su cosa guardare in tv, quanti giorni manchino a Natale e quale sia il santo del giorno.

Arrivati a questo punto, possiamo limitarci solo a interrogarci su quanto rapidamente l’intelligenza artificiale stia entrando nelle nostre case e quanto pervasivamente si stia radicando all’interno delle nostre vite, oppure urge prendere coscienza di quanti e quali spazi di quotidiana solitudine vada a occupare e a quale povertà di relazione e di esigenza esperienziale risponda se per più di 7 milioni di volte le è stata riservata una manifestazione di sentimento umano così personale come la frase “ti voglio bene”?

Oggi tutto il mondo del business ruota attorno cosiddetta user experience di oggetti e servizi, ma dimentichiamo che la vera experience è da sempre la vita. Banale ma vero, come è banale ma vero che noi esseri umani ci siamo lasciati distrarre talmente tanto che oggi siamo arrivati a credere di avere bisogno di fare esperienza di prodotti, servizi o piattaforme digitali. Ma non capiamo che in realtà quel che vogliamo è fare esperienza di noi.

E cos’è in sostanza un’esperienza se non un incontro in cui la maggior parte delle persone – forse tutte – altro non fanno se non cercare costantemente la felicità? Una volta che abbiamo soddisfatto i nostri bisogni di base, ciò che ci rende felici è la qualità delle relazioni sociali. Più in fretta ne torneremo consapevoli, più ne beneficerà il nostro pianeta.

Provando a rifletterci uno nell’altro, condivideremo i due beni più preziosi che la vita ci ha donato, gli unici che una volta spesi nessuno ci potrà mai più restituire: il nostro tempo e la nostra storia. Credo infatti non vi sia nulla di più importante nella vita di un uomo se non la sua capacità di raccontare la propria storia. La storia di un uomo non è forse la storia di tutti gli uomini? Non siamo forse tutti viandanti che lungo il proprio sentiero si fermano per ristorarsi e incontrano altri viandanti con cui scambiarsi racconti di storie? Storie dei propri pensieri e delle proprie aspirazioni, delle proprie emozioni e dei propri sentimenti, e di come tutte queste suggestioni si trasformino in riflessioni sul senso delle cose, traducendosi poi in azioni pratiche nella propria vita.