Ci siamo mai chiesti veramente quali e quanti effetti abbia una guerra e quanto questi durino e si dilatino nel tempo? Di certo ci accorgiamo di quelli più immediati: persone che vengono ferite e uccise. Ma in realtà l’impatto di una guerra si propaga verso l’esterno, nello spazio e nel tempo. “Nelle prime ore e nei primi giorni di una guerra il trauma è principalmente fisico: i corpi umani vengono mutilati dalla ferocia delle moderne munizioni. Le vite finiscono o cambiano per sempre”. Scrive sul British Medical Journal, Julian Sheather, consulente specializzato in etica e diritti umani per la British Medical Association e Médecins Sans Frontières “stime grezze suggeriscono che, per ogni persona uccisa direttamente dalla guerra, nove moriranno indirettamente, anche se molto dipenderà dalla natura del conflitto e dal condizioni in cui si sviluppa”. Si calcola che nei conflitti del ventesimo secolo siano morti 191 milioni di persone, soprattutto civili.
Perché questo accade? Perché la guerra degrada gli ambienti provocando effetti a cascata di lungo corso. Il primo ambiente a deteriorarsi rapidamente è quello dei servizi sanitari che unito al deterioramento delle infrastrutture civili, quali reti idriche, trasporti, reti elettriche, rifornimento di farmaci, provoca sulla popolazione civile tutta un peggioramento generale della salute: riemergono malattie infettive, si accentuano problemi psicologici e psichiatrici, cresce l’abuso di alcol e droghe, peggiorano le condizioni anche per le donne in gravidanza e di conseguenza dei neonati quindi delle nuove generazioni.
Se dal 1970 nel mondo non vi fossero più state guerre, nel 2014 il Pil mondiale sarebbe stato più alto del 12%. Lo ha calcolato uno studio recentemente pubblicato dal Journal of Peace Research. Eppure, pur sapendo scientificamente che la guerra distrugge molto più che corpi e menti, distrugge le potenzialità di benessere e di futuro degli esseri umani, standoai recenti studi dell’Institute for Economics and Peace, nell’ultimo anno il livello medio di Pace in termini globali ha subito un deterioramento dello 0,07%, ed è la nona volta che accade negli ultimi tredici anni.
Oggi nel mondo vi sono circa sessanta conflitti, di cui quattro si configurano come grandi guerre, intendendo con la definizione “grandi guerre” quelle che contano 10.000 o più morti legate al combattimento nell’anno in corso o nell’ultimo anno; 19 guerre, cioè quelle che hanno causato almeno 1.000 e meno di 10.000 morti dirette e violente in un anno solare in corso o in quello passato; 21 conflitti minori, con morti numericamente comprese tra 100 e 1.000 e 15 schermaglie e scontri, cioè conflitti con meno di 100 morti.
“Ma come abbiamo ben capito la guerra distrugge più che corpi e menti. La guerra estirpa le radici del benessere umano, strappa il tessuto della comunità, spezza i legami tra le persone e i luoghi che abitano. E lascia un’eredità duratura” afferma Sheather nel suo articolo. Ed è così, abbiamo le prove che la guerra contamina fisicamente e psicologicamente i luoghi dell’abitazione umana ben oltre i confini dei paesi coinvolti e genera una memoria traumatica che può rendere impossibile la ricerca della pace.
“Se ti sedessi su una nuvola non vedresti la linea di confine tra una nazione e l’altra, né la linea di divisione tra una fattoria e l’altra. Peccato che tu non possa sedere su una nuvola” disse il poeta Gibran indicando due fattori fondamentali: che siamo tutti interconnessi in un Tutto di cui facciamo parte e che le nostre facoltà fisiche pongono limiti alla nostra visione la quale, tuttavia, può essere abbandonata come si fa con un inutile alibi, e superata da una visione più alta e consapevole. Una visione più responsabile.