Il doomscrolling e i pericoli di abituarsi al peggio

Dopo due anni di pandemia, lo scoppio di una guerra così vicina a noi per ragioni geografiche, politiche e psicologiche ha scoperchiato il vaso di Pandora della nostra quotidianità. Questa onnipresente esposizione a cattive notizie è diventata una costante delle nostre vite, con effetti più pesanti sui giovani, che già hanno pagato dazio sul terreno della socialità e dell’incontro con l’altro.

A poco più di due mesi dall’inizio della guerra in Ucraina, scrive l’UNICEF, il 40% dei giovani italiani afferma di non sentirsi adeguatamente informato sul conflitto Russia – Ucraina, eppure ben il 21% conferma la tendenza a cercare in modo ossessivo le cattive notizie online. Questi numeri arrivano da un sondaggio condotto tramite la piattaforma digitale U-Report Italia, realizzato per rilevare l’impatto del cosiddetto “doomscrolling” legato all’emergenza Ucraina sui giovani.

 

Cosa significa fare Doomscrolling

Fare “doomscrolling” significa cercare compulsivamente cattive notizie online. È un’abitudine che si è accentuata con la pandemia, quando tempo e cattive notizie non mancavano di certo, e che ha colpito soprattutto le persone che già soffrivano di ansia e depressione. Ma è anche una pratica tipicamente umana, che ci viene spontanea perché siamo animali curiosi. Così come capita che passando accanto a un incidente stradale rallentiamo per capire cosa è successo, altrettanto facciamo quando scorriamo le notizie sul telefonino. Cosicché appena ci imbattiamo in un titolo a effetto o a un post confezionato ad hoc per acchiappare clic, ci fermiamo a leggerlo. Un vero e proprio circolo vizioso.


Una giostra malsana di informazioni

Nei giovani, questa giostra di informazione genera stati d’animo contrastanti. Se il 30% esprime dispiacere e solidarietà per le popolazioni coinvolte dal conflitto, afferma UNICEF, per il 19% crea un senso di ansia e incertezza, di impotenza per il 16%, rabbia e paura per il 10%. In qualcuno, c’è da dire, prevale anche il desiderio di dare una mano e una certa idea di fiducia che il conflitto si risolva nel più breve tempo possibile (15%). Ma nel complesso sono le emozioni più destabilizzanti a dominare la scena.

A creare maggiore incertezza nei giovani sono le conseguenze del conflitto, oltre alla paura per le persone direttamente colpite e alla preoccupazione per il peggioramento del proprio stile di vita in Italia, causato dagli effetti economici del conflitto. In molti si dicono preoccupati per la propria salute mentale e per quella dei propri cari. Alcuni confessano di avere paura di una nuova escalation di violenza che coinvolga altri Paesi.

Il sondaggio rileva anche la grande varietà di mezzi di comunicazione a cui fanno riferimento gli adolescenti e i giovani. E cioè la televisione e Instagram (entrambi al primo posto rispettivamente con il 24% delle preferenze), i siti web (per il 18%), altri social (12%), giornali (per il 10%).

 

Informarsi bene significa anche definire un tempo massimo

Naturalmente dall’UNICEF arriva l’invito a tutelare i nostri figli, limitando l’esposizione a questo genere di notizie e contemporaneamente a contrastare le sensazioni negative, facendo sì che si informino su siti e giornali affidabili e favorendo il confronto con persone vicine o con esperti. Ma come farli smettere quando ben sappiamo che è proprio sul cosiddetto bias cognitivo, cioè il fenomeno umano per il quale noi esseri umani tendiamo a muoverci entro un ambito delimitato dalle nostre convinzioni acquisite, che si fonda questo tipo di informazione sul web?

Per inquadrare il problema, è forse utile anche tornare indietro con la memoria ai nostri anni fanciulleschi, a quella sensazione di libertà che scaturiva dalle piccole cose della vita, le cene in pizzeria con i compagni di scuola, le prime uscite, i legami che si creavano con gli altri, alcuni persi di vista negli anni, altri divenuti invece gli amici di una vita. Ai giovani di oggi sono stati sostanzialmente sottratti due anni cruciali di relazioni e affacci sul mondo, rimpiazzati dall’isolamento, più o meno relativo, davanti ai mille schermi della nostra vita digitale. Il doomscrolling è uno degli effetti a cascata di questa anomalia esistenziale.

Secondo il World Economic Forum, che recentemente ha trattato il problema attraverso la testimonianza di Ariane Ling, psicologa allo Steven A. Cohen Military Family Center del NYU Lanogone Health (USA), «bisogna imporre dei limiti, concedere il permesso di scorrere le notizie mezz’ora al mattino, qualche minuto al pomeriggio, ma non di più».

 

Un problema da riconoscere per poterlo risolvere

Un atteggiamento di buon senso che dovrebbe valere per tutti, giovani e adulti. In chi soffre di depressione, per esempio, la tendenza a leggere solo ciò che è in linea con il nostro pensiero spinge a cercare online solo notizie che confermino la propria visione negativa del mondo e della vita, cadendo così in una vera e propria forma di dipendenza. Che va gestita come si gestiscono tutte le dipendenze. Occorrerà dunque, come primo passo per smettere, riconoscere l’esistenza del problema: sviluppando la consapevolezza di star cercando ossessivamente cattive notizie online, si può decidere di fermarsi e dedicarsi ad altro.

Quando abbiamo la tentazione di prendere in mano il telefono, dovremmo provare più spesso a sostituirlo con qualcos’altro. Leggere, cucinare, allenarsi, guardare un film, dipingere, dedicarsi a un hobby, sono tutte alternative più sane al doomscrolling, oltre che più soddisfacenti: sono modi di passare il tempo che arricchiscono, accrescono le nostre potenzialità e allargano le nostre finestre sul mondo.