Tutti per le rinnovabili, ma soltanto a parole

Stando ai dati dell’Organizzazione mondiale della sanità, a respirare aria inquinata e dunque nociva per la salute, è il 99 per cento della popolazione mondiale! Un problema dunque che riguarda non solo i paesi a reddito basso e medio, per i quali comunque la situazione è pessima, ma anche per quelli a reddito alto, dove il 17 per cento delle città ha livelli di particolato fine che superano i limiti.

Le regioni nelle quali i valori del particolato fine PM10 sono più alti si trovano in Africa, nel Sudest asiatico e nel Mediterraneo, mentre l’inquinamento da biossido di azoto risulta invece distribuito in modo più o meno uguale quasi ovunque.

Per migliorare la situazione, afferma l’Oms, bisognerebbe ridurre l’uso dei combustibili fossili. Ma oggi come oggi, che ci troviamo nella scena madre di un teatro di crisi, quali sono le alternative perseguibili?

 

Il dibattito sul nucleare: una soluzione provvisoria alla crisi energetica?

“Per soddisfare la crisi climatica e soddisfare il suo fabbisogno energetico, l’Europa potrebbe affidarsi all’energia nucleare. Almeno trenta impianti sono stati chiusi o lo saranno nei prossimi anni” – scrive il settimanale Internazionale. “Tenerli in funzione potrebbe essere una alternativa affidabile e a basse emissioni rispetto ai combustibili fossili, e sarebbe più facile ridurre la dipendenza dalle importazioni di gas dalla Russia.”

In tale direzione afferma di voler andare il Belgio con la scelta di mantenere in vita le sue centrali, e il Regno Unito che tuttavia è ancora in fase valutativa. Al contrario la Germania conferma l’intenzione di non riaprire le proprie.

La domanda che si pongono in molti è: può il rilancio del nucleare fungere da soluzione per entrambe le esigenze o assolve solo quello dell’emergenza energetica derivata dal conflitto russo-ucraino? Le argomentazioni di chi lo contesta evidenziano sia il rischio di incidenti che esso comporta sia il problema ambientale e sanitario legato all’estrazione dell’uranio, che è comunque inquinante, e allo smaltimento delle scorie.

D’altro canto, però attingere ad altre fonti non è per niente facile. La fonte eolica, per fare un esempio, potrebbe richiedere ancora diversi decenni prima di diventare significativa visti i ritmi lenti con cui cresce: ogni anno cresce in capacità per circa 14 gigawatt quando ne servirebbero 370.

 

Sì agli impianti di rinnovabili, ma “non nel mio giardino”

È vero che il piano RePowerEu presentato da poco dalla Commissione europea prevede l’accelerazione dei permessi per le fonti rinnovabili, ma nel nostro Paese la svolta sull’eolico inciampa ancora in ostacoli spesso culturali, pur sapendo che costa meno e che vi sono molte aziende pronte a investirvi.

Nella vicina Germania, l’energia rinnovabile (solare/eolico) ha compiuto il suo cammino diventando una realtà molto soddisfacente per tutti i player, dalla politica al business alla collettività e all’ambiente. Tant’è che dal 1992, anno in cui era a zero, ad oggi ha raggiunto una produzione del 42% e proietta di arrivare all’80% entro il 2030.

In un’Italia che pur preme affinché si compia una transizione ecologica ed energetica già avviata, in un recente reportage apparso sul settimanale Il venerdì si legge che “decine di comitati Nimby (Not in my back yard, non nel mio giardino) associazioni, sindaci e organizzazioni in difesa del paesaggio, tengono in scacco diversi ambiziosi progetti di impianti rinnovabili, soprattutto eolici, già bloccati nel tempo da burocrazia e soprintendenze.”

Come accade di consueto anche in altri ambiti, pare proprio che anche in questo caso dietro agli slogan pubblici con cui rivendichiamo un futuro più green e più sostenibile anche grazie alle rinnovabili, finiamo con il nascondere una realtà dei fatti dominata dai più semplici interessi privati. Toccatemi tutto, ma non il luogo dov’è casa mia.

 

La disinformazione sull’eolico viaggia sui social

Non siamo soli in questo atteggiamento: anche negli Stati Uniti la costruzione degli impianti eolici è osteggiata spesso dalle comunità locali il cui giudizio ostile è alimentato dalla (cattiva?) informazione, che viaggia soprattutto sui canali social. Non sorprende dunque che le iniziative di attivismo portate avanti da comuni cittadini, i quali, utilizzando il potere di amplificazione e aggregazione offerto dal mezzo social, diffondono informazioni soggettive, spesso sommarie, approssimative, scorrette e pregiudizievoli contro le pale eoliche, finiscano per condizionare gli amministratori locali dai quali dipendono le autorizzazioni per gli impianti. Cosicché le preoccupazioni spesso infondate di alcuni singoli verso le fonti alternative, verso l’innovazione, ritardano una transizione necessaria, e di fatto la impediscono.

Ancora una volta occorre sottolineare che la sfida che abbiamo davanti è secolare ma non arriveremo da nessuna parte se non comprendiamo che per innovare, bisogna saper innovare per primi se stessi.

Se prima non cambieremo il nostro modo di vedere non riusciremo poi a cambiare il modo con cui fare le cose.