Joker, la maschera rabbiosa di un film irresponsabile

Joker è un film irresponsabile! Bellissimo nella forma, sia chiaro, ma irresponsabile nella sostanza.

Nei giorni scorsi ci ho pensato a lungo. Nelle giuste occasioni ne ho anche parlato con alcuni interlocutori che conosco essere fini osservatori della nostra contemporaneità, senza tuttavia trovare in loro una lettura vicina alla mia. Ho indugiato in attesa di quel ravvedimento d’opinione che in genere accade quando poni del tempo e qualche riflessione in più, tra la botta a caldo e l’opinione sedimentata. Intanto ho letto diverse recensioni in cerca di un comune sentire, di una voce che raccontasse di aver provato quello stesso retrogusto che è rimasto a me dopo aver visto il film. Ho trovato opinioni divergenti ma solo ai due estremi nei quali si pongono il bello e il brutto. Ma non ho trovato quel conforto che andavo cercando in qualcun altro oltre me.

Intanto i giorni sono passati e io ne sono sempre più convinto: Joker è un film irresponsabile.

Non tanto, o almeno non solo per quello spirito di banale emulazione che ha già contagiato alcuni individui affetti da selfite acuta, come testimoniano queste immagini scattate a Hong Kong, in Libano e a La Paz. Quelle persone che trovano nei social network il loro specchio, per i quali la scala nel Bronx teatro di una scena iconica del film, è diventata il ring di definizione della loro personalità. Se l’effetto si limitasse a questo saremmo di fronte a un fenomeno sì potenzialmente globale per la capacità capillare delle piattaforme social, ma circoscritto alla sfera delle singole identità.

Qui il rischio reale, confermato dai fatti e dalle foto di questi fatti che qui vi mostro, è che questo volto del nuovo Joker così pericolosamente attraente per le nostre anime stanche e vuote, riunisca in sé tutte le maschere usate sin qui dalla storia della rabbia civile, e le superi nella rappresentazione scenica di un Caos legittimato dalla società delle asimmetrie e per questo legittimo.

Siamo in un momento storico particolarmente complesso per il futuro nostro, dei nostri figli e dell’intera umanità. La complessità è data da una crisi intensa che interessa ogni aspetto delle nostre società: dalla politica alle istituzioni, dalle economie ai consumi, dalle culture alle religioni, tutto ci appare particolarmente e dolorosamente privo di valori di riferimento.

In uno scenario che perpetuamente ci riflette lo stato di annichilimento della nostra coscienza non è inverosimile che si finisca per scegliere un modello che ci somigli per delusione, vessazione e rabbia, e che lo si alimenti giorno dopo giorno per accrescerlo in credibilità e potenza facendolo assurgere sino al gradino più alto, quello di guida. Ma un nuovo, onnicomprensivo Dio della ribellione che non comprende in sé alcuna possibilità di redenzione né di soluzione né di bellezza, è proprio ciò di cui abbiamo bisogno?

Non servono piuttosto visione positiva e azioni condivise? Non è essenziale piuttosto coordinare gli sforzi di ogni singola coscienza verso una nuova educazione che sia orientata al rispetto del Tutto e non alla sua totale distruzione?