
(il tradimento degli ESG – ep.2)
L’inchiesta internazionale condotta da Follow The Money, Il Sole 24 Ore e Irpi Media ha rivelato ciò che molti temevano, ma pochi osavano denunciare: gli indici ESG, nati per guidare investimenti responsabili, sono stati svuotati di senso, piegati alle logiche del potere e della geopolitica, ridotti a etichette di facciata.
Le accuse mosse contro MSCI e Morningstar Sustainalytics sono chiare: le due principali agenzie di rating etico avrebbero modificato i criteri di valutazione dei diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati, cancellando penalizzazioni per aziende coinvolte in violazioni documentate. È il caso di Caterpillar, da anni criticata per la fornitura di bulldozer usati per demolizioni e operazioni militari, e di Motorola, che fornisce sistemi di sorveglianza per le colonie israeliane.
Oggi queste stesse aziende, pur nel mezzo di accuse pesanti, si ritrovano premiate con punteggi ESG più alti. Come è potuto accadere? Come possono aziende direttamente legate a violazioni dei diritti umani essere classificate come “eticamente sostenibili”? Quale etica stiamo difendendo, esattamente?
Morningstar ha ammesso di aver ceduto alle pressioni di gruppi filo-israeliani come JLens, modificando le proprie valutazioni per eliminare riferimenti scomodi. MSCI ha risposto con spiegazioni deboli, incapaci di giustificare l’omissione di controversie ancora attuali. Non si tratta di errori: si tratta di scelte. Scelte consapevoli, che hanno trasformato strumenti nati per difendere i diritti in scudi a protezione dei potenti.
E così, alla fine, il mondo altro non potrà essere che la proiezione della nostra condizione interiore di essere dis-umani. A meno che gli esseri (veramente) umani si ribellino, nel silenzio ma con forza.
Il naufragio dei valori
Crolla così l’illusione di una finanza etica impermeabile agli interessi geopolitici. La fiducia, pilastro su cui si regge ogni valutazione ESG, è stata frantumata. “Se i parametri ESG possono essere manipolati da pressioni esterne, l’intero impianto crolla”, ha osservato il professor Patrizio Monfardini. E allora: come possiamo ancora credere nei dati sui diritti umani? Come possiamo distinguere chi agisce davvero in modo responsabile da chi si è solo comprato un marchio di rispettabilità?
Ci troviamo di fronte a una crisi che va ben oltre la finanza etica. È una crisi morale, culturale, sistemica. Il modello ESG, che già mostrava limiti nella sua frammentazione e riduzione della complessità a meri numeri e checklist, si rivela ora terreno fertile per opportunismi e complicità. Non solo inefficace: complice. Di chi è la colpa? Delle agenzie di rating? Delle aziende che premono per avere un bollino verde? O di tutti noi, che abbiamo accettato l’idea che bastasse “spuntare caselle” per rendere sostenibile un sistema insostenibile?
Dal greenwashing all’etichwashing
Quello che stiamo osservando è un salto di qualità nella deriva etica della finanza: dal greenwashing all’ethicwashing. Un sistema che non solo simula responsabilità, ma la neutralizza, la svuota, la piega a interessi strategici. Un sistema dove la sostenibilità è ridotta a slogan, e la governance è governance del profitto, non del bene comune.
In tutto questo, le aziende più coinvolte – dai giganti della tecnologia militare a chi fornisce strumenti per la sorveglianza e l’occupazione – si rivelano per ciò che sono sempre state: non semplici beneficiarie di un sistema corrotto, ma ingranaggi attivi, protagonisti di una catena di complicità globale.
Come possiamo continuare a illuderci che basti “correggere qualche parametro” o “introdurre nuove linee guida” per cambiare rotta? Non è forse il modello stesso a essere irrimediabilmente compromesso? Non è forse ora di smettere di rincorrere nuove “etichette sostenibili” e iniziare a domandarci che idea di economia, di società, di politica vogliamo costruire? E soprattutto che tipo di umanità vogliamo essere!
Un bivio inevitabile
Abbiamo davvero bisogno di un’altra etichetta “green”, “ethical”, “responsible”, “sustainable”? Abbiamo bisogno di una rottura radicale con una logica che separa l’economico dall’umano, che misura l’etica a colpi di algoritmi, che riduce la complessità a grafici, punteggi, rating?
L’attuale modello non è solo vulnerabile: è funzionale alla conservazione dello status quo. È la maschera di un sistema che pretende di autoassolversi, mentre alimenta le stesse crisi che finge di combattere: ambientale, sociale, culturale.
A questo punto, la domanda non è se il paradigma ESG sia recuperabile. La domanda è: vogliamo continuare a difendere un sistema che ha già dimostrato di tradire i suoi stessi principi? O siamo pronti ad abbandonarlo, per immaginare e costruire un nuovo modo di abitare l’economia, la società, la terra? Siamo pronti ad essere umani?
Il tempo per una scelta di campo definitiva, individuale e collettiva, è giunto: o implodere definitivamente, inconsciamente affascinati dalle garanzie infondate di un’Economia Lineare che ha promesso una crescita infinita fondata su un approccio estrattivo e indiscriminato delle risorse, nonché consapevolmente anestetizzati dai paradigmi inconcludenti di un’Economia Circolare, che altro non riesce a fare se non invitarci a ridurre, recuperare, riciclare, riqualificare e, al massimo, rigenerare.
Oppure dovremo re-agire, trovando la forza e il coraggio di entrare in una nuova era economica in cui ogni singolo individuo comprenda di poter (e dover!) contribuire – agendo nella propria sfera di influenza – incarnando i principi di un’Economia Sferica che si prefigge innanzitutto di ri-umanizzare sé stessa, e di ri-vitalizzarla, ri-animarla, e infine ri-spiritualizzarla, riportando così la riflessione spirituale al centro delle nostre scelte e restituendo alle nostre anime la dignità della loro grandezza della loro essenza.
La soluzione finale
Non si tratta però di aggiungere un altro slogan alla lista. Si tratta di un atto di coraggio, di una presa di posizione irreversibile.
Perché la verità è chiara: ciò che oggi chiamiamo “finanza etica” non ha perso la sua anima: l’anima non l’ha mai avuta! E non l’ha avuta perché chi ha creato quei modelli ha evitato accuratamente di misurarsi con le proprie domande interiori sul senso profondo della propria esistenza, così come ha evitato riflessioni sulla provenienza della propria anima, ripudiando la rilevanza della ricerca di una connessione con lo Spirito.
Senza anima, e senza Spirito, non c’è futuro che possa definirsi “umano”. Perché “Noi non siamo esseri umani che fanno un’esperienza spirituale. Noi siamo esseri spirituali che fanno un’esperienza umana”.