Recentemente ho prima ascoltato e poi letto su The New York Times un'intervista fatta a Peter Thiel, il cui titolo ("Peter Thiel e l'Anticristo. ...
Una conclusione spaventosa ma al contempo illuminante. Da un lato spaventa pensare di dover ammettere che il distretto che ha guidato come un faro negli ultimi decenni l’innovazione nel mondo, non abbia ancora compreso che non esiste un’idea veramente innovativa di futuro che non rimetta l’Uomo al centro del proprio interesse quale soggetto ispiratore della propria progettualità e della propria felicità, e l’Amore, che per me – come da anni sostengo e scrivo – è in assoluto l’atto economico per eccellenza. E che per farlo, oggi siamo chiamati, tutti, nessuno escluso, a ripensare completamente l’economia, considerando la possibilità di fare tutti un passo indietro.
Dall’altro lato è una conclusione illuminante e finanche ottimista perché noi, qui, abbiamo invece ben capito che per far sì che si realizzi un’evoluzione positiva, le aziende devono iniziare a occuparsi non solo del proprio vantaggio ma anche del vantaggio della comunità a cui fanno riferimento, cioè quello in cui operano e dal quale attingono le risorse umane.
Abbiamo ben capito che il futuro sarà di quelle aziende che riusciranno a prendersi cura di sé stesse, dei propri clienti ma al contempo anche della collettività, e da qui possiamo muoverci non solo per immaginare nuovi modelli sociali e di business, ma anche realizzarli affinché l’Uomo, quindi il suo pensiero, le sue emozioni e le sue aspirazioni, elementi su cui far convergere una profonda riflessione, venga posto al centro di tutto.