E se non volessimo più la “normalità”?

“Il pericolo principale è pensare al Coronavirus come un fenomeno isolato, senza storia, senza contesto sociale, economico o culturale” scrive Ángel Luis Lara nel suo articolo intitolato “Covid-19, non torniamo alla normalità. La normalità è il problema” pubblicato recentemente sul Diario. Pensare al Coronavirus come a un fenomeno isolato ci allontana dall’opportunità di far portare il conto al sistema che l’ha generato. Poiché secondo i molti e comprovati studi citati nell’articolo, l’incremento degli incidenti con virus avvenuti nel nostro secolo, così come l’aumento delle loro pericolosità, sono direttamente legati alle strategie delle corporazioni agricole e dell’allevamento, che sono responsabili della produzione industriale intensiva di proteine animali. Queste corporazioni, chiosa, “sono così preoccupate per il loro profitto da assumere come un rischio proficuo la creazione e propagazione di nuovi virus, esternalizzando così i costi epidemiologici delle loro operazioni agli animali, alle persone, agli ecosistemi locali, ai governi e, proprio come mostra la pandemia attuale, allo stesso sistema economico mondiale.” Ecco perché ritengo che la soluzione non ce la daranno solo gli scienziati in ambito sanitario, la soluzione dobbiamo cercarla tutti insieme perché la responsabilità di quello che accade nel mondo è anche nelle nostre mani, allora dove e in che contesto possiamo dare il nostro contributo? La premessa è che ognuno di noi può farlo nella propria sfera di influenza, come abbiamo ripetuto più volte. Poi c’è chi preferisce impegnarsi nel settore non-profit, chi negli enti locali, chi in politica, chi in ambito culturale. Ma forse gli attori più efficaci sono oggi le aziende. La dimensione individuale è frammentaria, mentre lo Stato, il depositario dell’etica pubblica per tutto il Novecento, ha apparati e rituali farraginosi e intempestivi. Non si può negare che il capitalismo sregolato abbia contribuito negli ultimi anni a fare dell’essere umano non più un fine ultimo, ma solo un mezzo. Le aziende del nostro presente però possono ribaltare questa tendenza: cogliendo l’importanza del loro compito storico, sono in grado di agire nella società civile come un modello di cambiamento virtuoso, diffondendo con il loro operato una nuova etica laica. Pratiche e idee che promuovono quello che possiamo definire come uno sviluppo degli esseri umani e dell’Insieme di cui tutti fanno parte, e che saranno premiate dalla gratitudine. Le imprese, piccole o grandi che siano, Spa, Srl o semplici partite Iva, sono i luoghi di aggregazione, condivisione, orientamento e educazione più frequentati. E le aziende più lungimiranti si stanno già impegnando a fondare un nuovo approccio “coopetitivo” al business, in cui il giusto mix tra competizione e cooperazione dovrebbe generare un vantaggio per i singoli ma anche per l’insieme. La concorrenza di mercato deve diventare sinonimo di crescita dell’Insieme costituito da tutta la società, all’insegna del valore della gratitudine, che dopotutto è il fondamento stesso della Pace. Gli imprenditori e i manager più accorti hanno capito che ridefinire i modelli di business per volgerli alla creazione di valore da ri-condividere, e non più solo di profitti da accumulare, aumenta nel medio-lungo periodo anche i profitti stessi. Profitti, che una volta rimessi in circolo, genereranno altro benessere per l’insieme. Con una affermazione sintetica ed efficace, Lara dice: “il problema non è il capitalismo in sé, ma il capitalismo in me”. Dunque, cosa ci trattiene dal capire che il momento per una nuova concezione del capitalismo è ora? Non domani. Ora!