L’ironia mai trovata

“Innanzitutto, posso dire? Non l’hanno mai trovata”.

È questa la battuta detta da Fedez, per poi scoppiare a ridere, mentre insieme al conduttore di Quarto Grado, Gianluigi Nuzzi, commentava la serie Netflix Vatican Girl, ispirata alla vicenda di Emanuela Orlandi. Che questa battuta gli sia valsa una valanga di critiche sui social è cosa nota. Ed è altrettanto noto che questa battuta abbia fatto ridere solo chi l’ha pronunciata, e consegnato alla storia che Nuzzi non abbia avuto al momento la stessa reazione di ilarità, ma anzi ne abbia sottolineato l’incompatibilità con la sua vis giornalistica.

 

L’odio di Burgos verso il riso
360b / Shutterstock.com

Nel suo celeberrimo romanzo “Il nome della rosa”, Umberto Eco, che pure era un uomo con un raro sense of humor, fa discendere la lunga serie di omicidi che avvengono in una abbazia di monaci benedettini, nell’epoca in cui molto potere avevamo consegnato alla Santa Inquisizione, all’odio che il bibliotecario Jorge da Burgos nutriva verso una fantomatica copia della Poetica di Aristotele, che si riteneva esser stata dedicata alla Commedia greca, dunque alla forma espressiva che porta al divertimento e al riso.

Una delle scene più significative per il plot investigativo vede Jorge rimproverare aspramente i monaci sorpresi a ridere. Eco fa dire al suo personaggio che il riso è una orribile smorfia che deforma il volto umano, rendendolo simile a una scimmia. “Il riso uccide la paura e senza la paura non ci può essere la fede. Senza paura del demonio non c’è bisogno del timore di Diofa dire con estrema chiarezza al vecchio monaco assassino, che pur di frenare il degrado fisico e morale insito nell’atto di ridere sceglie di macchiarsi addirittura del peccato di omicidio.

 

Non si tratta affatto di black humour

Che vi sia una decisa linea di demarcazione tra una battuta riuscita e una fallimentare è un dato di fatto facilmente riconoscibile. Nel caso specifico, alla cattiva riuscita ha concorso in larga parte il pubblico astante, “culturalmente” distante dall’ironia facile e omnicomprensiva del popolo dei social e delle serie tv. E infatti il giornalista, notoriamente serioso, difficilmente poteva essere affine a una battuta il cui scopo era recensire la serie Netflix attraverso lo spoiler del finale – umorismo tra l’altro vecchio e non più originale – e non certo emettere un giudizio sui fatti o sulla protagonista della vicenda.

Primakov / Shutterstock.com

Un momento di immaturità, come una risata che scappa a un ragazzino a un funerale” ha commentato Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, che da quarant’anni cerca la verità sulla sorte della sorella. E bene ha fatto a etichettare questa battuta mal riuscita come una stoltezza passeggera, in cui infatti nessuno ha riconosciuto i crismi, ben più nobilitanti, del black humour.

 

Da dove arriva tutto questo sdegno?

Ma quale sia la linea di demarcazione tra ciò di cui possiamo ridere e ciò che invece dovremmo mantenere inviolabile e inviolato è un elemento mutevole, che si trasforma con il passare del tempo e delle stagioni umane seguendone le diverse e molteplici geografie. E’ fuor di dubbio che quel “timore di Dio” che faceva da discrimine in un contesto monastico trecentesco, non certo incline allo sperpero di tempo in altre attività che non fossero preghiera, studio e lavoro, oggi risulterebbe grossolanamente anacronistico nella nostra cultura mainstream. E tuttavia vorremmo che vi fosse e che esercitasse la sua funzione censoria con pieni poteri, altrimenti come spiegheremmo tante reazioni di sdegno, ben più accorate e indignate di quelle del fratello stesso della Orlandi?

Credo che in questo momento la nostra società stia occupando il centro esatto di quel movimento che porta al cambiamento radicale: stiamo maturando un energico sentimento di sfiducia verso un mondo che si era presentato a noi come foriero di democrazia, opportunità, uguaglianza e giustizia, ma nella realtà dei fatti l’affermazione definitiva di questi valori è risultata promessa disattesa. Sui social e attraverso di essi si sono propagate e hanno prosperato parole di odio, di sopraffazione. Sessismo, classismo, razzismo e notizie fake sono state talmente all’ordine del giorno che abbiamo perso la verve per contrastarli.

Ma fintanto che l’ultima resistenza resta ancora in piedi possiamo concederci di sperare. Fintanto che ci interroghiamo se si possa ridurre tutto a un LOL, possiamo dirci vivi.