Non banalizzate il vax-day!

Mi auguro che questi giorni appena trascorsi non siano stati vuoti di pensieri e riflessioni quando invece la storia ce li ha consegnati densi di eventi memorabili. Lo voglio sottolineare perché il rischio al quale il predominio della pandemia ci espone, è quello della normalizzazione degli avvenimenti e della narrativa con la quale ci vengono rappresentati. La consuetudine di rimanere costantemente immersi nel flusso delle notizie che vogliamo ci raggiungano in tempo reale da ogni angolo della Terra, da un lato ci permette di essere aggiornati sui fatti della nostra contemporaneità e di comprenderli, dall’altro però ce li rende abituali, routinari, normali, In pratica li addomestica e li banalizza. Un esempio tra tutti è stato il racconto del cosiddetto vax-day, cioè della giornata d’avvio della campagna di vaccinazione contro il Covid-19 partito all’unisono in tutti i paesi membri dell’Ue, che non è stato vissuto come il momento simbolico del “risveglio”, per usare la definizione del nostro Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, dell’intera comunità umana prima che dei singoli paesi, ma intrappolandosi tra le righe della polemica sul numero delle dosi, ha perduto molti dei suoi toni alti. Tuttavia, se ci fermiamo per un momento a sfrondare questo evento sia dai meri trionfalismi sia dalle piccole speculazioni politiche di quartiere, che non interessano ai miei ragionamenti, ci troviamo di fronte al fatto nella sua essenza: per la prima volta nella storia la cooperazione ha prodotto un antidoto in tempi mai così rapidi. Un altro momento altamente simbolico che non vorrei ci fossimo persi sempre a causa del processo di banalizzazione della straordinarietà di questa nostra epoca, è stata la celebrazione del Natale. Anche in questo caso il chiacchiericcio di fondo generato dalla polemica sulle chiusure degli esercizi, sulle restrizioni che danneggiano gli acquisti, sugli orari del culto o sul numero dei commensali ammessi a cena, ha appesantito con inutili orpelli l’Avvento che mai come oggi doveva rilucere della propria essenzialità, in quanto mai come quest’anno la storia ci ha messo nella condizione ideale per raggiungere un maggiore e migliore raccoglimento in seno stretto delle nostre famiglie. Ed è proprio di questo argomento che si è occupato Papa Francesco nell’Angelus di domenica 27 dicembre scorso, indicando con una semplicità capace di valorizzarne l’essenza, il valore educativo della famiglia che può evangelizzare attraverso l’esempio di vita. Le famiglie che nella propria dinamica quotidiana conoscono il significato d’uso delle tre parole fondamentali: “permesso” per non essere invadenti, “scusa” per rimediare azioni ingiuste, e “grazie” per quanto ricevuto, possono offrire all’esterno, agli altri, la collaborazione per un edificare un mondo nuovo e sempre migliore dove la gratitudine è il sangue delle anime nobili. Allora iniziamo col chiederci cos’è la gratitudine. Poiché certamente non è soltanto “riconoscenza” verso qualcuno o qualcosa, magari vincolata soltanto a specifiche condizioni. E non è nemmeno una sorta di felicità sterile, non fruttifera, che l’individuo dovrebbe provare per ottenere il meglio dal mondo circostante. Ma può essere un vero e proprio stato di azione che può avere un impatto positivo sul suo benessere complessivo, sia psichico che fisico. La gratitudine è un’energia che ci aiuta a fare tesoro di tutte le meraviglie che l’universo ci mette a disposizione in maniera non dovuta ogni giorno e che ci porta a una connessione più profonda con la vera natura delle cose. La gratitudine è la vera rivoluzione necessaria al nostro tempo, portiamola con noi nel tempo che verrà.