Un’umanità ai livelli minimi

Abbiamo imparato a dividere l'atomo ma non abbiamo imparato a dividere il pane. Lo dico sempre quando parlo delle grandi tragedie che ancora la nostra società riesce a produrre come guerre, migrazioni, carestie, diseguaglianze economiche, povertà e fame endemica. Ma credetemi, mai mi sarei sognato di trovarmi a pensarlo in una circostanza come la nostra attuale nella quale a fronte di misure necessarie al contenimento di un’emergenza sanitaria potenzialmente globale abbiamo il meglio che siamo riusciti a fare come uomini, cittadini, professionisti, fratelli, padri e madri di famiglia, e soprattutto figli, è stato attestarci su livelli minimi di umanità. Certo, questa atmosfera non sarebbe tanto pesante e straniante se sui media non trovassimo la solita lettura del bollettino di guerra al quale questa epidemia ci sta abituando. Se non vi trovassimo la conta delle vittime, la polemica politica, lo scontro tra ministri, sindaci, presidenti di regione e amministratori locali, la lotta senza quartiere tra partiti, la sterile diatriba tra schieramenti avversi. Se non vi fosse traccia di faziosità o di cinismo, di prevaricazione e di pressappochismo. Non respireremmo forse la stessa atmosfera se ci fosse quel che ci si aspetta da un mezzo di informazione: creare un pubblico correttamente informato e sollecitato a partecipare attivamente alla vita pubblica contribuendo al dialogo sociale e allo sviluppo della collettività grazie a una migliore comprensione degli eventi e delle idee nel mondo. "Questo è il momento della coesione e dell'unità nazionale, non della polemica. L'Italia si aspetta da tutte le forze politiche un atteggiamento responsabile, ispirato a collaborazione e professionalità" ha detto il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte al Corriere della Sera, invitando i politici a non speculare sull’epidemia e i cittadini alla calma. Ma se sui primi non ho aspettative, sui secondi sì perché siamo i più. Siamo tutti cittadini, prima di vestire qualsivoglia abito professionale. E prima ancora siamo persone. Dunque, da persona a persona, chiedo: abbiamo avuto e abbiamo un comportamento “umano”?  La corsa a riempire il carrello del supermercato, l’assalto agli scaffali delle farmacie, l’accaparramento delle scorte di mascherine, il prosciugamento sino all’ultima goccia dei disinfettanti. Di quale umanità parlano questi comportamenti? Ti sei chiesto se il ventesimo flacone di disinfettante che hai imbustato nella tua scorta a vita non sia invece vitale per il tuo anziano vicino? Oppure se la mascherina che a te non serve a niente, invece a lui non salvi la vita? “In Italia c'è una popolazione anziana e si spiegano così i tassi di mortalità del 2-3%. Gli anziani sono più fragili, lo vediamo con l'influenza. Da quest'ultima possiamo proteggerli con il vaccino; non essendoci il vaccino per il Coronavirus c'è la mortalità. L'unica maniera per proteggerli è circoscrivere i focolai come si sta facendo". Lo ha detto Giovanni Rezza, direttore del dipartimento malattie infettive dell'Istituto Superiore di Sanità nei giorni scorsi.  È un concetto adamantino! Possibile non capirlo? Eppure siamo tutti figli. Che cosa ci ha distratto? Da cosa veniamo distratti? Che cosa ci viene proposto come modello di comportamento? Nei supermercati, lo sappiamo tutti ormai, sugli scaffali ad altezza occhi vengono esposti i prodotti più sponsorizzati. Avviene forse la stessa cosa anche sui media e in rete? Quando vorremo renderci finalmente conto che qualsiasi cambiamento vogliamo vedere nel mondo deve partire prima da noi stessi, da noi singoli individui posti come un ponte tra l’Io e la realtà? A ciascuno di noi tocca il ruolo di primo testimone del mondo che vorremmo, ma quale tipo di testimonianze stiamo rendendo se non sempre la medesima attitudine al “mors tua vita mea”? Abbiamo bisogno urgente di persone, donne e uomini, che sentano, pensino e agiscano in modo nuovo. Che non usino le loro facoltà e le loro doti intellettive e fattive solo per arricchirsi personalmente ma anche per elevare l’umanità e condurla a una nuova prospettiva, quella del “vita tua, vita mea”. Innovatori consapevoli capaci di generare gratitudine.