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Un recente studio pubblicato su Harvard Dataverse dal ricercatore Yaakov Garb dal titolo “I complessi di distribuzione degli aiuti israeliani/americani/GHF a Gaza: set di dati e analisi iniziale di posizione, contesto e struttura interna” offre un’analisi cruda e imprescindibile di quanto accaduto a Gaza.

Questo rapporto fornisce mappe, dati di localizzazione e una breve analisi iniziale dei complessi di distribuzione degli aiuti israeliani/americani/GHF, rapidamente costruiti e operativi a Gaza nel maggio del 2025. La relazione geografica complessiva di questi complessi con la popolazione di Gaza e con le infrastrutture di controllo militare israeliano su Gaza, nonché la loro architettura interna coerente, suggeriscono che la loro progettazione sia prevalentemente in risposta alla strategia e alle tattiche militari israeliane, piuttosto che finalizzata a un intervento umanitario di ampio respiro.

Come per i precedenti rapporti di questa serie, il rapporto è stato redatto rapidamente per fornire informazioni in tempo reale sugli eventi in corso. Ulteriori livelli di dati sono disponibili su richiesta.

In sintesi: la popolazione stimata nella Striscia di Gaza dalle IOF (Israel Occupation Forces) è passata da circa 2,2 milioni di persone (dato pre-bellico) a 1,85 milioni attualmente presenti nelle tre principali “zone umanitarie” designate: Gaza City, Al-Mawasi e Gaza Centrale. Questo significa che circa 377.000 persone risultano “disperse”.

Ma in questo contesto, la parola “dispersi” non è neutra, non è tecnica. È profondamente umana e tragica. Non si tratta di cifre in movimento, ma di esistenze in frantumi:

– uomini e donne intrappolati nel nord di Gaza, bombardato con ferocia;

– famiglie nei distretti orientali di Rafah, dove la terra stessa è stata cancellata;

– comunità ridotte al silenzio nel blackout informativo totale;

– corpi e voci sotto le macerie, che non entreranno mai in un censimento.

Che cos’è una persona “dispersa” quando la realtà è stata privata di ogni sfera di protezione?

Serve un movimento di coscienze, che noi abbiamo chiamato ‘Sferismo’, che ci inviti a osservare ogni sistema – sia esso fisico, sociale o spirituale – come un’unità viva, fluida, coesa, in cui ogni individuo è un centro, una sfera intera e sacra. E devono aderirvi tutti quelli, individui e aziende, che la propria coscienza non vogliono perderla per sempre o desiderano ritrovarla.

Distruggere un popolo non è solo un’azione materiale: è una frattura metafisica che rompe l’equilibrio dell’Universo stesso. Nel modello dell’Economia Sferica, ogni vita, ogni famiglia, ogni luogo, concorre all’equilibrio del tutto.

Quando un numero come “377.000 dispersi” compare in uno studio, dovremmo domandarci:

Quante voci abbiamo smesso di ascoltare?

Quante storie non potranno più essere raccontate?

Quante sfere umane sono state spezzate in nome di una logica lineare di dominio e guerra?

La geometria della guerra è lineare, gerarchica, asimmetrica. Divide, isola, cancella. La geometria della pace, della cura e del riconoscimento reciproco è invece sferica: connette, abbraccia, protegge.

Se 377.000 persone risultano “disperse”, chi ha il coraggio di ritrovarle? Non nei database, ma nella coscienza collettiva?

E se ogni sfera infranta fosse un frammento della nostra stessa anima?

 

Lo studio