ONU in bolletta, a rischio l’Agenda 2030?

Il Segretario generale Antonio Guterres ha voluto far notare al Comitato di bilancio dell’Assemblea generale di fronte ai 193 membri presenti, che se non ce l’avesse messa tutta già a partire da gennaio scorso per tagliare le spese, le Nazioni Unite non avrebbero avuto nemmeno la liquidità per sostenere l’incontro annuale dei leader mondiali avvenuto il mese scorso. È la peggiore crisi finanziaria degli ultimi 10 anni, causata dai ritardi nei versamenti dei contributi da parte di 64 paesi, tra cui appunto gli Stati Uniti. “Fate pagare tutti i paesi membri, non solo gli Usa”, è stata la risposta di Trump, che in precedenza aveva già evidenziato come a suo parere su Washington pesasse un onere ingiusto spingendo per una riforma dell’istituzione mondiale. Tuttavia, i maggiori contributori dell’istituzione sono proprio gli Stati Uniti, che secondo gli accordi dovrebbero sostenere il 22% degli oltre 3,3 miliardi di dollari necessari per il solo 2019. E che però sono già in debito di circa 381 milioni di dollari per gli esercizi precedenti ai quali si aggiungono ora ben altri 674 milioni per il budget della gestione 2019. “Sono a rischio persino i salari dei dipendenti per novembre” abbiamo letto nei giorni scorsi, così come abbiamo letto delle altre misure restrittive che Guterres ha avviato per fronteggiare questa crisi di liquidità. Misure che influenzeranno le condizioni di lavoro e le operazioni dell’organizzazione. Si parla di limitare i viaggi e le missioni ufficiali solo alle “attività più essenziali”; di ridurre i servizi come l’interpretariato, la sicurezza, la tecnologia informatica; di sospendere le traduzioni e le pubblicazione di trattati; di posticipare l’acquisto di beni e servizi; di cancellare gli eventi e i ricevimenti che prevedono che si tengano oltre l’orario di chiusura; di implementare strategie di “risparmio energetico” come la riduzione del riscaldamento e dell’aria condizionata, la sospensione degli ascensori e delle scale mobili e anche del funzionamento dell’iconica fontana davanti all’ingresso principale del Palazzo di Vetro. Certo, è probabile che la situazione in cui versano le Nazioni Unite non sia tutta colpa dei ritardi e delle inadempienze di molti Paesi membri, ed è probabile, come si mormora nell’ambiente diplomatico, che vi siano ancora alcune storiche sacche di inefficienza nella gestione dei conti e uno spreco di risorse che, a maggior ragione alla luce delle attuali difficoltà finanziarie, si potrebbero evitare. Ma se la fontana dell’Onu ferma i suoi rubinetti, e non solo simbolicamente, cosa e chi ci manterrà sulla strada della cooperazione per il completamento dell’Agenda 2030? L'accordo di Parigi deve affrontare il suo primo importante test nel 2020, ma anche se si vedono alcuni segnali positivi, bisogna fare molto di più per limitare le emissioni e adattarsi al peggioramento del clima. Sappiamo che alcune nazioni stanno attualmente rivedendo i piani climatici presentati a Parigi per alzarli di livello, e che altre stanno preparando strategie a lungo termine per decarbonizzare le loro economie. Ma se sono capaci di non tenere fede agli impegni economici per l’Onu, chi ci aiuta a capire se gli stessi leader affrontano il tema clima con piani concreti, e non con semplici discorsi? La mancanza di consapevolezza sui cambiamenti climatici è un collo di bottiglia per la mobilitazione collettiva che è necessaria per fermare il trend. Non possiamo lasciare il campo al solo movimento giovanile ispirato dalle adolescenti Greta Thunberg e Jamie Margolin. Non possiamo delegare alla loro protesta l'azione concreta necessaria entro il 2020. Dobbiamo assumerci la responsabilità di un ruolo attivo. Tutti, tu, io, noi! Agire, cambiare stile di vita e di consumo ma anche esigere dai leader mondiali maggiori responsabilità. Altrimenti a pagare il prezzo più salato saranno proprio loro, i giovani della cosiddetta "Generazione Z", che subiranno le conseguenze maggiori dei cambiamenti climatici: si calcola che un bambino nato oggi rischia di passare la vecchiaia in un mondo più caldo di 3°C rispetto ai livelli preindustriali. Dobbiamo compiere più sforzi e dobbiamo farlo in fretta. Non andiamo da nessuna parte se non partiamo dall’assunzione della nostra responsabilità.