Fiorella Pallas, il valore delle cicatrici

 La parola “cicatrice” è una parola comune, difficilmente ci capiterà di incontrare qualcuno a cui bisogna spiegarla perché non la conosce o non la capisce. Siamo stati tutti bambini con le ginocchia o i gomiti o il sopracciglio sbucciati, alcuni di noi hanno affrontato interventi chirurgici, semplici o meno semplici o talvolta gravi, tutti abbiamo vissuto delusioni e sofferenze interiori che comunque segnano anima e spirito con tracce simili alle cicatrici.
 
Tuttavia, è una parola su cui comunemente non siamo portati a soffermarci. Anzi, preferiamo allinearci alla cultura dominante che ci fornisce molte buone ragioni e molti strumenti, non ultima la chirurgia estetica, per minimizzarle, eliminarle dal nostro corpo per eliminarle dal nostro sguardo e di conseguenza dalle nostre vite. Eppure, ogni cicatrice, fisica o morale che sia, è la rappresentazione di un pezzetto della nostra storia, è un segno della nostra esperienza, è un particolare che costituisce la nostra unicità.
 
Se fossimo un dipinto ogni cicatrice sarebbe una pennellata. Se fossimo una canzone, sarebbe una nota. Perché cancellarle? Perché ripudiarle? Perché negarci tutti i colori della tavolozza?
 
Diversamente da noi, i giapponesi questa domanda se la sono fatta e se la fanno ancora. La pratica del kintsugi, per esempio, è una risposta simbolicamente perfetta per rappresentare il valore inestimabile che dovremmo tributare a ogni nostra cicatrice. Questa domanda se l’è fatta Fiorella Pallas, ospite della mia trasmissione Il Tempo dei Nuovi Eroi su Radio Italia, che appunto al kintsugi si è ispirata e ispira con la sua onlus 100 mila ripartenze.

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