In cerca di un Dono 0.0

E’ una piacevole sensazione quella di essere in buona compagnia. Ho aperto i giornali per scoprire che anche un’icona della musica e del costume italiano come Claudio Baglioni ha subìto il fascino di un concetto potente come lo “0.0”.  

Se nel mio caso l’intuizione era stata quella di associarlo all’Economia, il cantante ha usato la qualifica “0.0” per presentare il suo Festival di Sanremo, la prossima edizione di cui Baglioni sarà appunto Direttore Artistico. “Né tradizionale né segnato da improbabili innovazioni” l’ha descritto, ripreso dai principali media.

Se lo “0.0” ha dato il titolo ai lanci d’agenzia e agli articoli, è stata la spiegazione più dettagliata della sua interpretazione dello “0.0” a catturare davvero la mia attenzione. Da un lato, trattandosi della 68esima edizione del Festival, ha richiamato l’anno 1968: “l’ultimo momento di un sogno comune”, in cui le persone si mettevano insieme per provare a costruire un mondo migliore. Benessere per l’insieme, diremmo noi, indipendentemente dai giudizi di valore sui fini di questo o quell’impegno, questo o quel periodo storico, che giustamente lasciamo agli individui.

Baglioni dixit, parte seconda: “voglio rimettere la musica al centro”, in opposizione ai tanti (vani) orpelli che in epoca di talent e reality vengono sovrapposti a forza sulle trame del mondo musicale. Chi legge questo blog sa bene che il mettere al centro, nel nostro caso l’Uomo come elemento chiave dell’Economia, è il terreno su cui abbiamo costruito tanto, primo fra tutti il concetto a me più caro: l’Eroe, figura al centro del mio libro “Il Tempo dei Nuovi Eroi”. Due frecce, quelle del Direttore Artistico, che colpiscono in pieno il bersaglio del mio modo di sentire e immaginare il futuro.

D’altronde, come scriveva Democrito, “la finzione, paradossalmente, è un’invenzione che l’uomo ha introdotto per indagare la realtà”. Affermazione cruciale e attualissima, sia che la finzione prenda forma nell’arte o nella filosofia, o appunto nella musica o nell’economia. Il punto, in ogni epoca, è sempre la risposta alla domanda: cosa troviamo quando indaghiamo la realtà?

Ovviamente a una domanda del genere possiamo dare soltanto risposte parziali, che ambiscono nel migliore dei casi a illuminare alcuni aspetti della contemporaneità. Provo a dare la mia: ogni volta che si direziona la luce dell’indagine su parti anche distanti fra loro della nostra società, in filigrana si trova sempre un tema forte, quello della fiducia. Il doppio binario della sua assenza o presenza determina pezzi cruciali di mondo: libertà di espressione, responsabilità, potere, cittadinanza, per citarne soltanto alcuni.

Non pensate alla fiducia come un concetto monolitico, che si accorda o revoca in maniera sempre netta e inequivocabile. Nella nostra società liquida, la fiducia si è appunto “liquefatta, disgregata, passando dalle istituzioni agli individui. La fiducia è come l’energia: non si distrugge, si modifica” sostiene Rachel Botsman, autrice di “Who Can You Trust?” e docente della Business School di Oxford, che ho avuto il piacere di incontrare al recente World Business Forum di Milano.

Poiché le conseguenze di questo passaggio di mano epocale della fiducia – da aziende, istituzioni e partiti a singoli individui – possono anche rivelarsi disastrose, la disaffezione e lo scetticismo delle persone aumenta e innerva la nostra società. Se pensiamo alla Brexit, per fare un esempio, ci rendiamo conto come la crisi di fiducia ne sia al tempo stesso causa ed effetto. E che dire della “ascesa al potere” di algoritmi impersonali che dominano la nostra vita online? O della recente decisione di snaturare l’architettura egualitaria del web e abolire la net neutrality? Contro l’83% dell’opinione pubblica statunitense, per accontentare la smania di maggiori guadagni degli internet provider, si è fatto il primo passo verso un web solcato da corsie preferenziali. Con buona pace del sogno, oggi un po’ meno realistico, di democratizzazione digitale.   

Mondo liquido, fiducia parcellizzata, web di serie A e serie B. Non è certo un caso se, in reazione, assistiamo ai primi, decisi passi di tecnologie come la Blockchain, invenzione disruptive che rende possibili interazioni incentrate proprio sulla fiducia e trasparenza, in cui è l’insieme a poter controllare e validare in ogni momento la veridicità e la regolarità di un’affermazione o di una transazione.     

La fiducia, proprio nel tempo della sua crisi, è dunque la vera valuta del domani. A oltre un anno dall’uscita del mio libro, ne sono sempre più convinto: i Nuovi Eroi avranno portafogli anche più corposi di chi oggi investe sul tanto strombazzato Bitcoin. Se siete in cerca di un dono di Natale, l’avete forse trovato: nella fiducia che gli altri vi accordano, e nella fiducia che riponete in chi ha agito per meritarsela. Non c’è Dono più 0.0 di questo.